Dal libricino "Confusione" pubblicazione di Pulcinoelefante
La solitudine, per me, è una condizione intrinseca dell’esistenza umana, uno spazio interiore che può spaventare, ma che, se accolto, diventa un alleato prezioso. Non è l'assenza di persone a farmi sentire solo, ma la qualità delle relazioni che ho intorno. Spesso ripenso a Nietzsche e a quel passaggio di Zarathustra che dice: "La mia solitudine non dipende dalla presenza o assenza di persone; al contrario, io odio chi ruba la mia solitudine, senza, in cambio, offrirmi una vera compagnia." È così: le connessioni superficiali, in un mondo che ne è colmo, non fanno altro che distrarmi dalla mia essenza. Il silenzio, invece, mi aiuta a riscoprirla.
Stare soli è un’arte, una competenza che richiede tempo e pazienza per essere coltivata. Quando mi concedo il privilegio della solitudine, mi immergo in un dialogo profondo con me stesso. Non nego che spesso mi parlo ad alta voce. Non è pazzia, ma un modo per dare forma ai miei pensieri, per renderli più chiari. In quegli istanti di riflessione mi trovo a esplorare le mie aspirazioni, i miei timori e anche le mie contraddizioni. È lì che, lontano dagli sguardi altrui e dal peso delle aspettaative, scopro chi sono davvero. La solitudine, così, diventa un laboratorio interiore, il luogo dove il mio essere si forgia.
Eppure, non vedo la solitudine come una condizione permanente. La sua bellezza sta proprio nella sua transitorietà, come una pausa che dà valore alle note di una melodia. Se si prolunga troppo, rischia di trasformarsi in isolamento, e so bene quanto questo possa logorare l’anima e alimentare il senso di vuoto. Per questo cerco di distinguere tra la solitudine scelta, che mi arricchisce, e quella imposta, che mi impoverisce.
C’è un altro aspetto che mi fa riflettere: il senso della compagnia. La compagnia autentica non serve semplicemente a colmare un vuoto, ma a creare un ponte tra due solitudini. È qualcosa che nasce dalla comprensione reciproca, dalla capacità di essere presenti senza invadere, di dare senza pretendere. Mi infastidiscono profondamente quelle persone che rubano la mia solitudine senza offrirmi una vera connessione. Sono ladri di tempo ed energia. Al contrario, la vera compagnia è un dono che arricchisce entrambe le parti, uno scambio sincero che valorizza l’unicità di ciascuno.
E allora mi chiedo: quanto mi fa bene stare da solo? La risposta, lo ammetto, non è sempre chiara. Per me la solitudine è spesso un rifugio, un luogo dove posso essere libero, ma so anche che non può essere un rifugio permanente. L’equilibrio è la chiave: saper stare solo per conoscermi e crescere, ma anche scegliere con cura chi voglio accanto a me lungo il mio cammino.
Stare soli è un’arte, una competenza che richiede tempo e pazienza per essere coltivata. Quando mi concedo il privilegio della solitudine, mi immergo in un dialogo profondo con me stesso. Non nego che spesso mi parlo ad alta voce. Non è pazzia, ma un modo per dare forma ai miei pensieri, per renderli più chiari. In quegli istanti di riflessione mi trovo a esplorare le mie aspirazioni, i miei timori e anche le mie contraddizioni. È lì che, lontano dagli sguardi altrui e dal peso delle aspettaative, scopro chi sono davvero. La solitudine, così, diventa un laboratorio interiore, il luogo dove il mio essere si forgia.
Eppure, non vedo la solitudine come una condizione permanente. La sua bellezza sta proprio nella sua transitorietà, come una pausa che dà valore alle note di una melodia. Se si prolunga troppo, rischia di trasformarsi in isolamento, e so bene quanto questo possa logorare l’anima e alimentare il senso di vuoto. Per questo cerco di distinguere tra la solitudine scelta, che mi arricchisce, e quella imposta, che mi impoverisce.
C’è un altro aspetto che mi fa riflettere: il senso della compagnia. La compagnia autentica non serve semplicemente a colmare un vuoto, ma a creare un ponte tra due solitudini. È qualcosa che nasce dalla comprensione reciproca, dalla capacità di essere presenti senza invadere, di dare senza pretendere. Mi infastidiscono profondamente quelle persone che rubano la mia solitudine senza offrirmi una vera connessione. Sono ladri di tempo ed energia. Al contrario, la vera compagnia è un dono che arricchisce entrambe le parti, uno scambio sincero che valorizza l’unicità di ciascuno.
E allora mi chiedo: quanto mi fa bene stare da solo? La risposta, lo ammetto, non è sempre chiara. Per me la solitudine è spesso un rifugio, un luogo dove posso essere libero, ma so anche che non può essere un rifugio permanente. L’equilibrio è la chiave: saper stare solo per conoscermi e crescere, ma anche scegliere con cura chi voglio accanto a me lungo il mio cammino.
In fondo, la solitudine è uno specchio che riflette chi sono e chi voglio essere. Quando la accetto come un’alleata, smette di essere una minaccia e si trasforma in una strada verso la libertà interiore. Solo allora scelgo di aprirmi agli altri, non per bisogno, ma per il desiderio autentico di condividere la mia umanità.