L’Arte come mezzo di: Empatia, Inclusione e Cura Attraverso il Supporto Reciproco.
La vita, per chi vive una disabilità fisica, è un mosaico di sfide che si estendono oltre il corpo, arrivando alla psiche e all’anima; potrei sostenere che il cambiamento dettato dalla disabilità è un qualcosa di necessario, ma non voglio distogliermi o contrappormi troppo dal cambiamento che una persona subisce durante l’evolversi della propria vita anche se la disabilità non è intervenuta…
Dunque, tornando alla disabilità fisica, che è inevitabilmente un terreno fertile per la scoperta di una verità profonda che è in noi, qui dobbiamo considerare e riscoprire alcune strade che ci portano a questa scoperta: come l’Arte, l’Empatia e l’Aiuto reciproco che non sono solo strumenti per sopravvivere, bensì se sapientemente liberate “sono ali”; sono la chiave per trasformare una realtà che spesso ci vorrebbe ai margini in una danza di significato, bellezza e connessione.
Come artista, e come persona con disabilità fisica, ho imparato che ogni limite è una soglia, talune volte la passo talune volte no. Ma la soglia non è un qualcosa che ci definisce, ma una possibilità di ridefinire noi stessi e il mondo che ci circonda. Vorrei condividere con voi delle riflessioni che riassumono anche se solo sommariamente, il potere del sostegno reciproco, il valore dell’arte e la necessità di una coscienza empatica rinnovata.
Aiutare gli altri per aiutare se stessi.
Esiste un’energia quasi magica nell’atto di tendere la mano agli altri. Quando aiutiamo qualcuno, non alleviamo solo le loro difficoltà: scopriamo parti di noi stessi che non sapevamo di avere. È come se il gesto di supporto spalancasse porte interiori, mostrando che la “cura” è un linguaggio universale, capace di guarire in entrambe le direzioni.
Ma come comprenderlo e metterlo in pratica?
Per chi vive una disabilità, offrire supporto agli altri ha un potere straordinario: ci fa vedere il nostro "limite" sotto una luce diversa, sicuramente diventa meno un peso e più una fonte di forza se perseverata, finanche di rinascita. Questo non significa negare il dolore o fare finta che non esista, ovvio c’è ed è squisitamente personale. (E non credo che il “non portatore di disabilità” sia immune a una qualsivoglia forma di dolore interiore, ma questo è un’altro discorso…)
Dunque, il dolore esiste e c’è la possibilità di abbracciarlo e trasformarlo. Con il “portare una disabilità” non siamo diventati soggetti passivi di un racconto altrui; siamo partecipanti attivi di un tessuto umano in cui la cura reciproca è il filo più prezioso.
Leggendo in rete su portali di ricerca scientifica ho appreso che è consolidato che “gli atti di altruismo” ci fanno rilasciare ormoni come ossitocina e dopamina: il primo noto come "ormone dell'amore" perché svolge un ruolo chiave nei legami emotivi, nella fiducia, nell'affetto e nell'empatia, il secondo invece, è un neurotrasmettitore che agisce come il "messaggero della ricompensa" regola il piacere, la motivazione e l’umore e tanto altro. Dunque non è solo teoria aiutare gli altri, può diventare una pratica che trasforma mente e corpo, portandoci oltre la percezione del limite e avvicinandoci a un benessere sia personale che collettivo.
Condividere il dolore non è mai "mezza gioia".
Soprattutto quando quel dolore è cronico perché la sola consapevolezza che altri soffrono come noi non attenua il nostro carico ma può persino accentuarlo, facendoci sentire ancora più soli, prigionieri di un’ingiustizia che sembra non avere via d’uscita. Ma la connessione autentica tra persone “o solo tra anime” è tutta un’altra storia. Quello che ci deve dare conforto non è sapere che altri soffrono e dunque possiamo parlarne con loro credendo di essere compresi più facilmente, ma sapere che altri ci vedono con un livello superiore d’intendimento e così ascoltano e ci comprendono. Questo livello che noi disabili implicitamente acquisiamo è una attitudine che tutti possono affinare se corroborata, ad esempio: dall’Arte a prescindere il ramo dell’arte in cui ci si vuol esprimere, dunque ecco una possibilità di differenza tra l’isolamento e la comunità. Tra il sentirsi invisibili e il sentirsi accolti e inclusi.
La vera gioia, quella che nasce dal dolore condiviso, arriva quando troviamo chi non solo riconosce la nostra sofferenza, ma la abbraccia, aiutandoci a trasformarla in qualcosa di nuovo, alla fine parlo di alcuni rami dell’Amore che l’Arte come linguaggio universale sa far fiorire.
L’Arte come veicolo di inclusione sociale.
Se, come già detto, l’arte è un linguaggio che va oltre le parole e parla di noi, per noi, attraverso noi, io come artista, posso sostenere che creare è un atto di esistenza, un modo per affermare al mondo: "Io sono qui. Ho una voce. E merito di essere ascoltato". Anche se personalmente non piace dare descrizioni ai miei lavori, o spiegarli perché ciò non mi interessa, ma implicitamente sono comunque cosciente che un messaggio lo sto dando. Vabbè, questa poterebbe essere incoerenza di cercare di fare “Arte”, ma cosa è in fin dei conti più incoerente dell’Arte stessa, la quale sua natura è intrinseca nell’incoerenza perché nasce dall’espressione soggettiva dell’essere umano, che è per sua essenza complesso e mutevole. E non meno, l’Arte non è vincolata da regole rigide o logiche lineari; si nutre di contraddizioni, emozioni, e intuizioni spesso in conflitto tra loro, ma se l'esperssione finale è di rappresentare la realtà in tutta la sua frammentaria bellezza e di stimolare interpretazioni infinite, lasciando spazio alla libertà e alla creatività: quanto uno spirito sofferente può essere più aperto a questa forma di espressione?
Per una persona con disabilità, l’arte può essere molto più che un mezzo di espressione, può diventare uno strumento di riconoscimento sociale, quel ponte che supera la barrierea che la disabilità impone, collegando mondi apparentemente divenuti distanti anche per gli inevitabili pregiudizi che la disabilità talune volte marca.
Empatia: una coscienza da ritrovare.
Viviamo in un mondo veloce, rumoroso, frammentato, dobbiamo essere sempre vincenti fin da adolescenti, così l’empatia sembra un lusso dimenticato, un’arte di comprensione antica di cui abbiamo perso il manuale. Ma non è mai stata così necessaria come oggi!
Se l’empatia non è solo una reazione emotiva ma è un atto di consapevolezza nei riguardi dell’altro (del “diverso”) ergo significa ascoltare con attenzione, mettersi nei panni degli altri e, soprattutto, agire di conseguenza ecco che l’Arte si può riproporre come linguaggio.
Quante volte abbiamo visto un bel lavoro d’Arte che ci soggioga nell’animo e ci si meraviglia di come l’autore possa averlo realizzato: ecco il collante che ci tiene insieme. Per chi vive una disabilità, l’empatia può essere la linea sottile tra vivere con dignità ed essere riconosciuti nella nostra (in parte ) nuova identità o essere lasciati ai margini. Ma se l’empatia non è un dono che possiamo solo ricevere è una qualità che dobbiamo anche coltivare e offrire, e quando abbracciamo la nostra vulnerabilità e quella degli altri, scopriamo una verità profonda: siamo tutti fragili, tutti umani, tutti disabili.
Se aiutare gli altri, utilizzare l’arte come strumento di inclusione e riscoprire l’empatia, questi sono i pilastri di una vita che non si ferma di fronte ai limiti fisici, ma trova il modo di adattarsi e di abbracciare la complessità dell’esperienza umana. L’adattabilità non è solo un atto di sopravvivenza apatica e non partecipativa, anzi deve diventare una forma d’arte che nell’Arte vive. È la nostra capacità di trasformare le difficoltà in nuove vie anche se sempre l’opportunità di superarle non ci viene data o la creiamo, il dolore diventa nell’Arte un’espressione, la vulnerabilità in connessione.
Dunque, chi fa Arte è stimolato in un movimento continuo con cui plasmiamo il nostro mondo interiore per rispondere a quello che ci circonda, senza perdere la nostra essenza.
E alla fine, ciò che davvero conta non è quanto riusciamo a fare o conquistare, ma quanto riusciamo a toccare il cuore degli altri. Perché è in quel tocco, in quella connessione autentica, che scopriamo il significato più profondo della nostra esistenza.