Il Bello Salverà il Mondo, ma Chi Salverà il Bello?

Nell'era del consumo globale, della sovrabbondanza e della rapidità con cui si consuma ogni forma di cultura, si fa sempre più urgente una domanda provocatoria e, forse, scomoda: Chi salverà il Bello?
Abbiamo sentito dire, fin dai tempi di Nietzsche, che “il Bello salverà il mondo”. Un'affermazione che ha attraversato secoli e discipline, dall'arte alla filosofia, dal pensiero estetico all'attivismo sociale. Il "Bello" qui non è solo un concetto estetico, ma una forza, una speranza, un'idea di equilibrio che risponde al caos delle nostre vite che per come siamo messi, vanno sempre più a peggiorare.
Ma cosa accade quando il Bello, ridotto a merce, perde la sua potenza salvifica e si trasforma in una simulazione vuota, priva di significato e valore? Chi, o cosa, può salvarlo?

Oggi ci troviamo immersi in una produzione artistica che, per quanto prolifica, non sembra più in grado di toccare le corde più profonde dell'animo umano. Ad ogni inzio di secolo si poteva notare l’emergere di nuove e originali correnti artistiche, ma dallo scoccare dell’anno 2000, nisba...
Le gallerie si affollano di opere che replicano se stesse, riempiono spazi ma non suscitano emozioni autentiche. La cosiddetta “arte contemporanea” è spesso intrisa di intellettualismo sterile, di provvisorietà e di sussurri estetici che sembrano più distogliere che risvegliare. Gli artisti non sono più esploratori della condizione umana, ma mercanti di illusioni e più spesso manager commerciali di se stessi.... Le loro opere si consumano nell’immediato, non lasciano traccia, non pongono interrogativi.
Il paradosso è evidente: la società è più affamata di Bellezza che mai, eppure quella Bellezza rischia di affogare in un mare di superficialità. I grandi musei espongono opere che non provocano dibattito, non sfidano la realtà, ma si limitano a imitarne gli aspetti più banali. Dall’altro lato, i cosiddetti artisti emergenti sembrano persi in un’infinità di linguaggi e stili privi di una direzione comune.
E qui si pone un'altra domanda: Cosa è rimasto dell’emozione che dovrebbe scuoterci nelle viscere? Il Bello è diventato una bandiera svilita, una parola abusata per giustificare l’indistinto e l’inutile. Non è più un faro che illumina, ma una candela che si consuma senza lasciare traccia. Gli artisti contemporanei sembrano impegnati più a spiegare che a creare. Il linguaggio critico è diventato un’appendice necessaria per rendere l’opera comprensibile, come se la Bellezza avesse bisogno di un manuale di istruzioni.
Il Bello, il vero Bello, non ha mai avuto bisogno di permessi o giustificazioni. Non si accontenta di decorare, né di essere piacevole. Il Bello è feroce, è necessario e non altrimenti. Ed è qui che il nostro tempo tradisce la sua ipocrisia. Nel disperato tentativo di definire il nuovo, abbiamo perso il senso del sublime. Il Bello non è più una vetta da scalare, ma un contenitore vuoto, pronto a essere riempito con qualsiasi cosa purché sia vendibile anche se palesemente d’infima qualità e di pessimo gusto.
Questa crisi non è solo estetica, è morale. Se il Bello è il tramite con cui percepiamo il divino, l’assoluto, (come iperbole nel ragionamento), allora la sua morte è la nostra condanna all’indifferenza. L’umanità è diventata cieca alla Bellezza perché è troppo impegnata a cercare di definirla. La società consumistica ci soffoca, e l’arte, ridotta a una merce come tante, ne è vittima ma anche consapevolmente complice al tempo stesso.
La vera arte ha la capacità di scuotere, di interrogare, di rendere visibile l’invisibile. Ho sempre sostenuto che l’arte esprime ciò che le parole talune volte non ci riescono.
Ma dove sono finiti gli artisti che osano mettere in discussione le verità scomode? Dove sono coloro che, con una pennellata, una scultura, una performance, possono dirci qualcosa di nuovo, di diverso, che non sia solo un’eco della società consumistica? La risposta non si trova nell’estetica tradizionale, ma in una rivoluzione creativa che ci spinga a un ritorno all’autenticità.
Forse, l’unica speranza risiede nei singoli. Chi salverà il Bello, se non noi stessi? Il Bello è ovunque, è vero, ma richiede il nostro impegno, il nostro sguardo. Non ci salverà se non ci mettiamo nella condizione di accoglierlo. Salvare il Bello è un atto di resistenza, di amore, di speranza. È un invito a guardare oltre la superficie e reclamare ciò che ci rende umani.
Perché, in fondo, il Bello, per essere tale, deve saper ferire. Deve scuoterci, elevarci, farci sentire la vita pulsare in tutta la sua tragicità e magnificenza. Solo chi è disposto a ferirsi per salvarlo potrà davvero restituirgli il potere di salvare il mondo.

 

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